Kirghizistan, febbraio 2015
Un puntino colorato perso in una immensa distesa bianca dalle lievi sfumature azzurre; dietro di lui una traccia rettilinea nel manto nevoso: nessun orizzonte in fondo, nessun punto di partenza per quella traccia che comincia in un luogo indefinito in basso a destra della foto e si dirige in alto a sinistra.

© Snowder
Quel puntino sono io, intento a cercare un itinerario che permetta di superare l’immenso falsopiano e accedere ai pendii sommitali di una vetta inesplorata, una delle tante appartenenti a questa vasta catena montuosa del Teskey Ala, che si estende per centinaia di chilometri nel bel mezzo dell’Asia Centrale.
Kirghizistan, aprile 2024
Mattino presto, il furgoncino arranca a velocità insospettabili lungo l’ampia carrareccia che risale la valle di Arabel. Ai lati della strada villaggi e case isolate, bovini, cavalli, una mandria di yak – tutti magrissimi – lasciano trasparire la povertà che regna in questi luoghi remoti ai lati dei quali i versanti salgono ripidi fino a oltre quattromila metri.

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Residui dell’occupazione russa, come il busto di Yuri Gagarin piazzato a far propaganda nel bel mezzo del nulla, rendono appieno la sensazione di abbandono che il popolo di questa nazione ha subito a causa delle varie spartizioni governative. Più in alto, ormai ben oltre i tremila metri di quota, un uomo piazzato in mezzo alla strada ci impone di fermarci in corrispondenza di un tornante. Poco oltre precipitano sulla strada grossi massi: solo allora ci rendiamo conto che un enorme escavatore sta lavorando al tornante di sopra per manutenzioni, in barba alle più elementari regole di gestione della sicurezza stradale.
La strada è parecchio trafficata, percorsa costantemente da camioncini carichi di bestiame, mezzi d’opera, cisterne… si direbbe che tutto sto movimento sia diretto verso il nulla invece in alto, a circa quattromila metri di quota, c’è la seconda più grande miniera d’oro al mondo, dove circa 14 tonnellate del prezioso minerale vengono estratte ogni anno; tutto spiegato! In verità questa strada – che a noi torna certamente utile portandoci ogni giorno a partire comodamente per le gite ad oltre 3.800 metri di quota – è un vero disastro ambientale: l’antica carrareccia – che seguiva fin troppo armoniosamente le pieghe della montagna – praticamente sparita, i villaggi divisi in due dalle ruspe, per non parlare della cisterna di cianuro rovesciatasi nel fiume nel 2013 a causa dell’autista ubriaco, che inquinò irrimediabilmente il fiume annientando fauna, bestiame e persone con conseguenze che si vedono ancor oggi.
Noi invece siamo dei piccoli principini nel paese dei sogni degli sciatori. Grazie all’organizzazione local come sempre impeccabile la guest house che ci ospita è decisamente graziosa e nella sua semplicità pulita e ben organizzata, con del buon cibo e camere più che decorose in riva al lago Issyk Kul. Ancora una volta collaboro con Nikolaj, collega Kirghiso col quale siamo stati a sciare fin nell’Altaj Mongolo Siberiano, la cui calma serafica rende tutto più semplice anche in questi luoghi remoti dove il minimo guasto ad un mezzo di trasporto può rivelarsi un vero problema. Grazie alle sue indicazioni sfruttiamo al massimo tutti i giorni a disposizione, cessando quasi subito di consultare i bollettini meteo che senz’altro ci azzeccano, prevedendo ogni giorno una certa variabilità, corrispondente all’alternanza di sole, nuvole, piccole nevicate e schiarite che puntualmente ritroviamo durante le gite.

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L’ambiente è grandioso, fatto di un’infinità di vette alte quasi cinquemila metri, molte delle quali difficili da raggiungere semplicemente perché troppo distanti dal vasto altipiano raggiunto dalla strada: lo scialpinismo qui è fatto di una moltitudine di itinerari di incredibile varietà ma sempre perfettamente sciabili, che spesso iniziano risalendo lingue glaciali quasi mai crepacciate per poi raggiungere colli e vette lungo creste talvolta affilate. Sciare in Arabel Mountains significa trovare nevi trasformate molto spesso ricoperte da uno strato di neve polverosa recente, causa il frequente mutare del clima.

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Kyrghiz people & eagle hunter
Le vastità del Kirghizistan e la bassissima densità di popolazione (concentrata in buona parte nelle città e negli sporadici centri abitati) fanno sì che il territorio sia ancor oggi decisamente selvaggio, pertanto popolato da una fauna ricca anche se non così facilmente individuabile. È così che lupi, ibex (un parente sovradimensionato del nostro stambecco), e il mitico leopardo delle nevi si aggirano tranquillamente in vallate il cui accesso è per la quasi totalità impossibile ai mezzi… Ecco perché le vaste praterie kirghise sono punteggiate di cavalli: piccoli, ossuti, quasi sempre di color baio, dalla tempra robustissima, sopravvivono ai rigidi inverni dell’Asia Centrale cibandosi delle rare erbe semisecche che la steppa offre e costituiscono ancor oggi un insostituibile mezzo di trasporto e di sostentamento per buona parte della popolazione. Pastori nomadi da millenni, poi ridotti all’urbanizzazione forzata dalla dominazione russa, i kirghisi sono di piccola statura e lineamenti mongoli: quelli di loro che non si sono arresi alla vita di città se la devono cavare in questo ambiente che sicuramente non facilita la pastorizia nomade: la presenza del lupo e le sue predazioni sulle greggi impongono un controllo della popolazione, che da secoli viene attuato grazie al più nobile dei predatori alati: l’aquila. Catturate con apposite reti a circa un anno di età, le giovani aquile vengono addestrate alla caccia del lupo (soprattutto cuccioli ma si hanno notizie di attacchi anche a soggetti adulti) o anche a conigli selvatici, lepri, insomma selvaggina da cui trarre sostentamento.

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Animale del peso attorno ai cinque chili fiero e aggressivo, la cui principale quanto micidiale arma è costituita dai potenti artigli, l’aquila vive in casa assieme alla famiglia e con essa condivide caccia e competizioni (la caccia con l’Aquila è sport nazionale) fino all’età di circa 11 anni, dopo di che viene liberata in modo che possa riprodursi.
La visita ad una famiglia di eagle hunter costituisce ogni volta un momento unico e affascinante, in cui ci si ferma a bocca aperta a seguire storie di vita estrema narrate con semplicità spesso da bambini e ragazzi. Un’occasione unica e autentica per portare a casa ricordi di belle curve tracciate in nevi lontane ma anche di colori e odori di vite così distanti dalla nostra consuetudine.

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